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GUENDALINA

Una vita in ematologia: la storia di Guendalina, infermiera che ha visto evolversi la cura e la speranza

 

Mi chiamo Guendalina e da quando avevo 19 anni lavoro nel campo dell’ematologia. Sono infermiera pediatrica, una delle prime che ha cominciato a lavorare nel reparto di Ematologia del Policlinico Umberto I di Roma. La mia carriera inizia nel 1991 e, a pensarci bene, non è solo una professione, ma una vera e propria vocazione che mi ha legato per tutta la vita a questa realtà.

 

Ho cominciato al Bambino Gesù, per poi entrare a far parte della “vecchia guardia” dell’Ematologia, a stretto contatto con il professor Franco Mandelli. Ricordo i primi giorni come se fosse ieri: l’ospedale era molto diverso, i reparti erano piccoli, c’erano pochi strumenti, ma l’impegno era enorme. Noi operatori sanitari eravamo una vera e propria squadra, insieme ai pazienti e alle loro famiglie.

 

All’inizio, lavoravamo principalmente con i bambini, e l’ospedale pediatrico si trovava in una struttura piccola, ma molto accogliente, dove i genitori potevano restare con i loro bambini. I cambiamenti sono stati tanti nel corso degli anni: sono arrivati nuovi farmaci, nuove tecnologie e la struttura si è evoluta, proprio come l’approccio al trattamento. Siamo passati da trattamenti molto invasivi a terapie più mirate e meno dolorose.

 

Nel 2005, sono diventata dipendente aziendale, e ho continuato a lavorare nel reparto, a stretto contatto con medici e colleghi, aiutando i piccoli pazienti a combattere la malattia con tutte le risorse a nostra disposizione. Un passo fondamentale fu quello di riuscire a ottenere attrezzature moderne, come le pompe per infondere i medicinali, che ci hanno permesso di curare i bambini in modo più efficiente e meno doloroso.

 

Un altro grande cambiamento è stato il rapporto con i pazienti. Ai tempi iniziali, la sofferenza era molto più visibile, il trattamento molto più aggressivo. Ma con il tempo, grazie anche alla ricerca e ai nuovi protocolli, abbiamo visto il miglioramento della qualità della vita dei pazienti, e non solo la sopravvivenza.

 

Ho visto crescere tanti bambini che ora sono diventati genitori. Con alcuni, abbiamo anche mantenuto il legame e siamo diventati un punto di riferimento affettuoso e umano. Penso a loro come ai miei “nipoti”. Abbiamo vissuto insieme tanti momenti di gioia, ma anche di grande dolore. La mia vita è stata segnata dal continuo equilibrio tra la vita e la morte, tra la speranza e la realtà della malattia.

 

Una delle esperienze che mi ha segnato di più è stata l’intuizione del professor Mandelli di creare il Reparto Pediatrico e la Residenza Vanessa, un luogo dove i genitori e i bambini potessero sentirsi a casa, e dove veniva dato loro non solo supporto medico, ma anche affetto e comprensione. Ho avuto il privilegio di vedere crescere questa realtà, passando dalle prime difficoltà alla creazione di un ambiente adatto al trattamento e alla cura dei pazienti.

 

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